Tacita era una ninfa, precisamente una naiade, figlia del fiume Almone, affluente del Tevere. Il suo nome originario era Lara, Lala o Larunda, divinità dell’oltretomba, uno del triplice aspetto della Grande Madre.
Il mito narra che Tacita ebbe l’imprudenza di informare la sorella Giuturna e la dea Giunone della passione che Giove nutriva per lei e dei suoi tentativi di seduzione andati a vuoto. Giove, infuriato per questa indiscrezione, le strappò la lingua. Dopo averla ridotta al silenzio, ingiunse a Mercurio di accompagnarla fino al regno dei morti.
Come se non bastasse, Mercurio, certo di farla franca, durante il viaggio la violentò. Sicché la ninfa concepì e partorì due gemelli, i Lari, le divinità che vegliavano sui confini e proteggevano la città. Tacita venne così venerata anche come madre dei Lari.
Ogni anno, il 21 febbraio, si celebrava in suo onore la festa del silenzio con un rito che consisteva nel sistemare con tre dita 3 grani d’incenso in un buco di topo, sotto la porta. Inoltre si legavano dei fili incantati ad un fuso, tenendo in bocca 7 fave. Fra l’altro, si cospargeva di pepe una testa di menola, un piccolo pesce, animale muto per eccellenza, caro quindi, alla Dea. La testa veniva arrostita irrorandola di vino, e mangiata bevendo il vino rimasto.
Per i Romani, così come per i Greci, la parola non entrava nell’ambito delle competenze femminili.
“Alle donne il silenzio reca grazia” sentenziava Sofocle, considerando il tacere una virtù tipicamente femminile.
Tacita era una dea degli inferi che presiedeva ai culti funebri intesi come trapasso da ciò che è semplicemente morto a ciò che diviene sostegno per nuova vita. E’ dal rito propiziatorio della Dea Tacita che è nata la tradizione delle fave dei morti, i dolci che in molti paesi vengono preparati e mangiati durante le annuali feste dei morti.
Ma Tacere è veramente una virtù oppure è l’effetto di una forza sovrastante esterna che impone di non manifestare emozioni, pensieri e impressioni, pena la disapprovazione e l’ostracismo sociale? Dipende. Quando rappresenta la scelta matura di controllare l’impulso della parola per evitare conflitti inutili, preferendo un tipo di comunicazione più sottile e profonda, diventa un’espressione divina di squisita saggezza e lungimiranza femminile.
Altrimenti è solo uno dei tanti volgari esercizi di prevaricazione maschile davanti all’incommensurabilità e all’irriducibilità della GRANDE MADRE, meraviglioso archetipo che riunisce in uno solo i volti della Vita, della Rinascita e della Morte.
Onore alla dea Tacita, incantevole Spirito dei fiumi, che presiede tanto alla Parola quanto al suo contrario.
Caterina Carloni