Amore e Psiche sono i due protagonisti di una nota storia narrata da Apuleio all’interno della sua opera Le Metamorfosi, anche se appartenente ad una tradizione orale antecedente all’autore.
Nella vicenda narrata da Apuleio, Psiche, mortale dalla bellezza eguale a Venere, diventa sposa di Amore-Cupido senza tuttavia sapere chi sia il marito, che le si presenta solo nell’oscurità della notte. Scoperta – su istigazione delle invidiose sorelle – la sua identità, è costretta, prima di poter ricongiungersi al suo divino consorte, a effettuare una serie di prove, al termine delle quali otterrà l’immortalità.
Psiche, una bellissima fanciulla che non riesce a trovare marito, diventa l’attrazione di tutti i popoli vicini che le offrono sacrifici e la chiamano Venere (o Afrodite). La divinità, saputa l’esistenza di Psiche, gelosa per il nome usurpatole, invia suo figlio Cupido (o Eros) perché la faccia innamorare dell’uomo più brutto e avaro della Terra e sia coperta dalla vergogna di questa relazione, ma il dio sbaglia mira e la freccia d’amore colpisce invece il proprio piede, ed egli si innamora perdutamente della fanciulla. Intanto, i genitori di Psiche consultano un oracolo che risponde:
«Come a nozze di morte vesti la tua fanciulla ed esponila, o re, su un’alta cima brulla. Non aspettarti un genero da umana stirpe nato, ma un feroce, terribile, malvagio drago alato che volando per l’aria ogni cosa funesta e col ferro e col fuoco ogni essere molesta. Giove stesso lo teme, treman gli dei di lui, orrore ne hanno i fiumi d’Averno e i regni bui. (IV, 33)».
Psiche viene così portata a malincuore sulla cima di una rupe e lì viene lasciata sola. Con l’aiuto di Zefiro, Cupido la trasporta al suo palazzo dove, imponendo che gli incontri avvengano al buio per non incorrere nelle ire della madre Venere, la fa sua; così per molte notti Eros e Psiche bruciano la loro passione in un amore che mai nessun mortale aveva conosciuto; Psiche è prigioniera nel castello di Eros, legata a questo sentimento che le travolge i sensi.
Una notte Psiche, istigata dalle sorelle, che Eros le aveva detto di evitare, con un pugnale ed una lampada ad olio decide di vedere il volto del suo amante, nella paura che l’amante tema la luce per la sua natura malvagia e bestiale. È questa bramosia di conoscenza ad esserle fatale: una goccia d’olio cade dalla lampada e ustiona il suo amante.
Fallito il tentativo di aggrapparsi alla sua gamba per trattenerlo ed impedirgli di fuggire via, Psiche, straziata dal dolore, tenta più volte il suicidio, ma gli dei glielo impediscono. Psiche inizia così a vagare per diverse città alla ricerca del suo sposo, si vendica delle avare sorelle e cerca di procurarsi la benevolenza degli dei, dedicando le sue cure a qualunque tempio incontri sul suo cammino. Arriva però al tempio di Venere e a questa si consegna, sperando di placarne l’ira per aver disonorato il nome del figlio.
Venere sottopone Psiche a diverse prove: nella prima, deve suddividere un mucchio di granaglie con diverse dimensioni in tanti mucchietti uguali; disperata, non prova nemmeno ad assolvere il compito che le è stato assegnato, ma riceve un aiuto inaspettato da un gruppo di formiche, che provano pena per l’amata di Cupido. La seconda prova consiste nel raccogliere la lana d’oro di un gruppo di pecore. Ingenua, Psiche fa per avvicinarsi alle pecore, ma una verde canna la avverte e la mette in guardia: le pecore diventano infatti molto aggressive con il sole e lei dovrà aspettare la sera per raccogliere la lana rimasta tra i cespugli. La terza prova consiste nel raccogliere acqua da una sorgente che si trova nel mezzo di una cima tutta liscia e a strapiombo. Qui viene però aiutata dall’aquila di Giove.
L’ultima e più difficile prova consiste nel discendere negli Inferi e chiedere alla dea Proserpina (o Persefone) un po’ della sua bellezza. Psiche medita addirittura il suicidio tentando di gettarsi dalla cima di una torre; improvvisamente però la torre si anima e le indica come assolvere la sua missione. Durante il ritorno, mossa dalla curiosità, apre l’ampolla contenente il dono di Proserpina per Venere, che in realtà altro non è che il sonno più profondo. Questa volta verrà in suo aiuto Eros, che la risveglia dopo aver rimesso a posto la nuvola soporifera uscita dall’ampolla. Insieme vanno a domandare aiuto al padre degli dei.
Solo alla fine, lacerata nel corpo e nella mente, Psiche riceve assieme all’amante l’aiuto di Giove: mosso da compassione, il padre degli dei fa in modo che gli amanti si riuniscano: Psiche diviene la dea protettrice delle fanciulle e dell’anima, sposando Eros. Il racconto termina con un grande banchetto al quale partecipano tutti gli dei, alcuni anche in funzioni inusuali: per esempio, Bacco fa da coppiere, le Tre Grazie suonano e il dio Vulcano si occupa di cucinare il ricco pranzo.
La favola, come il resto de Le metamorfosi, ha nel libro un significato allegorico: Cupido – identificato con il corrispondente greco Eros, signore dell’amore e del desiderio – unendosi a Psiche, ossia l’anima, le dona l’immortalità. Tuttavia questa, per giungervi, dovrà affrontare quattro durissime prove, tra cui quella di scendere agli Inferi per purificarsi.
Già il nome Psiche (in greco ψυχή significa “anima”) allude al significato mistico della storia, e riconduce alle prove che la donna dovrà affrontare nel corso della sua evoluzione.
Anche la posizione centrale della favola nel testo originale aiuta a capire lo stretto legame che lega questo racconto nel racconto con l’opera principale; è infatti facile scorgervi una “versione in miniatura” dell’intero romanzo: come Lucio, protagonista de Le Metamorfosi, anche Psiche è una persona simplex et curiosa; inoltre, entrambi compiono un’infrazione alla quale seguirà una dura punizione. Solo in seguito a molte peripezie potranno raggiungere la salvezza.
La favola si presta a molteplici interpretazioni sul senso e sulla funzione trasformativa generata dall’unione tra eros e psiche.
Miti e fiabe ci parlano con il linguaggio dei simboli, i quali rappresentano un contenuto inconscio. Ci sono analogie profonde fra gli eventi fantastici in essi descritti e i sogni, le fantasticherie degli adulti. La letteratura esprime spesso nella forma del racconto ciò cui è impedito di affiorare nella coscienza. Amore e Psiche è il mito dell’individuazione femminile: questo affermano concordemente i tre autori che in modo ampio ed autorevole hanno interpretato la vicenda dei due giovani sposi-amanti, ovvero Erich Neumann, Rafael Lopez-Pedraza e Carol Gilligan. Essi rimandano alla acquisizione della consapevolezza del femminile: il rifiuto della sottomissione e della reificazione della donna proprie della società patriarcale passa attraverso un doloroso processo di trasformazione della coscienza, in cui la donna, ribellandosi ad una relazione dispari ed asimmetrica, si rende autonoma e indipendente, passaggio necessario che conduce all’amore consapevole e maturo, in cui uomo e donna si amano alla pari. Alla fine entrambi sono protagonisti, “vedono” la realtà, si confrontano e insieme “decidono” del loro futuro senza influenze ed interferenze esterne alla coppia.
Una lettura allegorica e originale della fiaba in ambito letterario è quella di Giacomo Leopardi, come testimonia una pagina dello Zibaldone del febbraio del 1821: per il poeta di Recanati, quella di Amore e Psiche è la vicenda dell’anima “che era felicissima senza conoscere, e contentandosi di godere, e la cui infelicità provenne dal voler conoscere”. E conclude: “l’uomo non è fatto per sapere, la cognizione del vero è nemica della felicità, la ragione è nemica della natura”, responsabile dell’infrangersi delle illusioni.
Entrambe le letture contengono una profonda saggezza e continuano da secoli ad ispirare poeti, musicisti e pittori.
Caterina Carloni