Sofferenza, malattia, vecchiaia e morte sono compagne di viaggio che attraversano la vita umana da sempre, eternamente indifferenti ai ruoli di ciascuno, al lignaggio, ai tempi storici.
L’INFLUENZA “SPAGNOLA” DEGLI ANNI ’20
Ricordiamo che “tra le tragedie del primo ‘900 ( guerre, carestie, rivoluzioni) non si può non ricordare la pandemia di influenza che devastò il pianeta causando milioni di morti, impropriamente denominata “La Spagnola”.
L’origine di tale denominazione è legata al fatto che nella primavera del 1918, durante la prima guerra mondiale, le censure della stampa dei Paesi belligeranti decisero di non divulgare notizie terroristiche sull’esistenza dell’epidemia di influenza per non turbare ulteriormente l’opinione pubblica.
Al contrario in Spagna, Paese non belligerante, non vi erano censure e i mezzi di divulgazione descrissero dettagliatamente l’epidemia di influenza, (si era ammalato anche il Re Alfonso XIII), tanto che il resto del mondo associò erroneamente il nome della malattia (La Spagnola) all’unica Nazione che ne aveva parlato.
La terribile epidemia infuriò nel mondo tra il 1918 e il 1920 facendo più vittime della prima guerra mondiale (e della peste del 1300!) in un mondo che contava allora 1 miliardo e 800 milioni di abitanti. La Spagnola ha ucciso infatti tra i 50 e i 100 milioni di persone in pochi mesi.
Di recente, il laboratorio di riferimento nazionale del Center for Disease Control and Protection di Atlanta ha “ricreato il virus dell’influenza Spagnola”, studiando cellule polmonari di cadaveri congelati nel permafrost (terreno perennemente ghiacciato dell’Alaska ).
E’ difficile ipotizzare le affinità tra il Covid-19 e l’Influenza Spagnola.
Innanzi tutto la grande maggioranza della popolazione coinvolta nella Spagnola era formata da soggetti giovani in buona salute e proprio in questa classe, e non in quella degli anziani, si verificò la più alta mortalità.
A ciò si aggiunge che non erano ancora stati scoperti gli antibiotici e gran parte delle vittime morì per sopravvenute infezioni batteriche opportuniste (polmoniti) o per ipereazione della risposta immunitaria.
Infine la diffusione del virus non avvenne d’inverno, come per la tradizionale influenza, ma in tarda primavera-estate con un picco ad ottobre.” (www.cdi.it)
LA MALATTIA IN UN’OTTICA PSICOSOMATICA
L’uomo è per sua natura un’entità dinamica e poliedrica, in cui non solo psiche e corpo sono collegati tra loro – come è consuetudine intendere la psicosomatica da parte della medicina tradizionale – ma esprimono soprattutto la stessa realtà su piani diversi: uno più sottile (mentale, psichico e spirituale) e l’altro più materiale (corporeo). La malattia e i sintomi si collocano all’interno di questa interazione dinamica.
Non c’è stata neanche una singola esistenza, nella storia dell’uomo, in cui la malattia non si sia manifestata almeno una volta nell’arco dell’intera esperienza individuale: lo rivelano i dati clinici attuali, i testi dell’antichità, gli scheletri dell’età della pietra. Sembra esistere una legge valida in tutto il mondo per cui, anche se facciamo di tutto per evitarlo, prima o poi qualcosa giunge ad alterare il nostro equilibrio vitale, irrompe la “crisi”.
La malattia è un’interruzione del nostro vivere. Separa il tempo in un “Prima”, variamente articolato, e in un “Adesso”, improvvisamente doloroso e confuso.
La vita scorreva tranquilla quando d’un tratto arriva un’appendicite acuta che porta al ricovero in ospedale, un’influenza che costringe a sospendere i ritmi lavorativi, un’anemia che ci indebolisce e obbliga ad angosciose ricerche diagnostiche.
Un’osservazione più attenta può rivelarci che la nostra vita non scorreva proprio tranquilla, e che, forse, non era del tutto nostra.
Arriva la crisi e ci sentiamo traditi, perché, malgrado sia stata preannunciata da mille segnali, ci coglie sempre di sorpresa.
Il corpo non è più la nostra casa sicura, ma ci abbandona, ci rovina la giornata, ci ostacola.
Eppure l’evoluzione naturale non ha eliminato la possibilità della crisi e della malattia. Intere specie viventi si sono estinte, organi e funzioni si sono atrofizzate nel corso di milioni di anni, cambiamenti radicali sono avvenuti nelle varie specie viventi, ma la malattia permane come fattore ineliminabile nella vita di ognuno di noi.
Tutto induce a credere che essa non sia una dimenticanza o un errore del processo di selezione naturale delle specie, ma bensì un processo funzionale e necessario attraverso il quale la Vita “rimescola” la sua materia biologica e si afferma in modo più consapevole e maturo. Paradossalmente non può esserci salute né evoluzione – sia nella materia che nella coscienza – senza la malattia.
Determinante è il modo in cui affrontiamo e curiamo la malattia.
La “crisi” è un momento sacro in cui cogliere una grande opportunità.
Allontanare i sintomi con i farmaci, trascurarli, eccedere nel cercare un senso a tutti i costi durante la fase acuta della malattia: ecco alcuni atteggiamenti sbagliati che possono far ristagnare la crisi e impedirle di trasformarsi in una rinascita.
Uno sguardo neutro e aperto, lontano da integralismi, è il modo più conveniente per sviluppare l’atteggiamento migliore per quel sintomo, in quel momento.
L’integrazione degli studi di psicologia del profondo con le straordinarie intuizioni delle religioni e delle filosofie orientali e con le sempre maggiori conoscenze della fisica moderna sta portando a una nuova visione della malattia; una visione che pur rintracciando tappe psicopatologiche e atmosfere esistenziali comuni a quasi tutti gli individui con quel preciso disturbo, non dà per scontato che uno stesso sintomo non possa avere un senso completamente diverso, a volte opposto, per una persona rispetto a un’altra.
COME AFFRONTARE IL PERIODO DELLA MALATTIA
Lo spazio sacro della malattia richiede silenzio, riposo, accoglienza del dolore e accettazione delle limitazioni fisiche e psicologiche che la patologia impone. A livello individuale, ciò significa concedersi una pausa per elaborare la nuova situazione esistenziale e gettare le basi per un rinnovamento di abitudini e modalità interattive e comportamentali più in linea con le reali e sopravvenute necessità. A livello sociale, quando la malattia assume i contorni di una pandemia, non si può prescindere da un’analisi centrata ed approfondita riguardante il pianeta, i suoi abitanti e le scelte etico-compatibili con la sua sopravvivenza. E il rimando allo sviluppo di una visione spirituale e al riconoscimento dell’essenza divina del creato e delle creature appare davvero irrinunciabile.
Caterina Carloni