Carità e invidia, Giotto, 1306
“Affidando al Brahmana una sua lettera per Krishna, Rukmini scrisse:
O bellezza dei mondi, avendo sentito parlare delle Tue qualità, che entrano negli orecchi di chi ascolta e rimuovono le loro sofferenze, ho fermato senza pudore la mente su di Te, Krishna.
Quale fanciulla aristocratica, di buona famiglia, dalla mente sobria e in età da marito, non sceglierebbe Te come sposo?
Ti prego, vieni presto, onnipotente, e fammi diventare Tua moglie. Non permettere che Sisupala tocchi la parte destinata all’eroe come uno sciacallo che ruba la preda di un leone.
O inconquistabile, domani, quando la cerimonia del mio matrimonio con Sisupala starà per avere inizio, dovresti arrivare non visto a Vidarbha attorniato dai capi del Tuo esercito. Schiaccerai quindi le forze di Caidya e di Magadhendra e mi sposerai secondo lo stile Raksasa, vincendomi col Tuo valore.
(Srimad Bhagavatam canto X, capitolo 52, versi 37-41)
Il Signore Supremo disse: “Come la mente di Rukmini è fissa su di Me, così la Mia mente è fissa su di lei. Non posso nemmeno dormire la notte. So che Rukmi per invidia ha proibito il nostro matrimonio.
Lei si è dedicata esclusivamente a Me, e la sua bellezza è immacolata. La porterò a Dvaraka dopo aver vinto in battaglia quei re indegni, proprio come si estrae dal fuoco della legna da ardere.”
Srimad Bhagavatam canto X, capitolo 53, versi 2-3)
“Intanto, giunto il giorno stabilito del matrimonio di Rukmini con Sisupala, i re invidiosi di Krishna e Balarama, per garantire la sposa a Sisupala giunsero di comune accordo alla seguente decisione: “Se Krishna viene qui con Balarama e gli altri Yadu per rapire la sposa, ci riuniremo e combatteremo contro di Lui”. Perciò quei re invidiosi si recarono al matrimonio con tutto il loro esercito e con un contingente effettivo di mezzi militari”.
(Srimad Bhagavatam canto X, capitolo 53, versi 18-19).
Baruch Spinoza (1632-1677) invita l’umanità, compartecipe della natura divina, a vivere tranquilla e serena «sopportando l’uno e l’altro volto della fortuna, giacché tutto segue dall’eterno decreto di Dio con la medesima necessità con cui dall’essenza del triangolo segue che i suoi tre angoli sono uguali a due retti…Non odiare, non disprezzare, non deridere, non adirarsi con nessuno, non invidiare in quanto negli altri come in te non c’è una libera volontà (tutto avviene perché così è stato deciso)».
È naturale, osserva invece Arthur Schopenhauer che l’uomo provi il sentimento dell’invidia ma se «invidiare è dell’uomo; compiacersi del male altrui, del diavolo». L’uomo infatti, preda della Volontà di vivere, vuole accrescere la sua vita, ma il suo egoismo ne esce insoddisfatto per l’apparenza dell’appagamento raggiunto per cui è costretto alla rinuncia e «da qui nasce l’invidia: ogni rinuncia è infinitamente accresciuta dal piacere altrui ed è alleviata dal sapere che anche gli altri soffrono della stessa rinuncia».
Tormentato il rapporto che Soren Kierkegaard scopre tra invidia e ammirazione:
“L’invidia è ammirazione segreta. Una persona piena di ammirazione che senta di non poter diventare felice abbandonandosi [rinunciando al proprio orgoglio], sceglie di diventare invidiosa di ciò che ammira…L’ammirazione è una felice perdita di sé, l’invidia un’infelice affermazione di sé “.
Per Nietzsche l’invidia è uno dei frutti della morale degli schiavi ovvero del moralismo cristiano che, incapace di assurgere alle vette del superuomo, si piega ed esalta i valori dell’umiltà e della rinuncia predicati dall’altruismo e dall’egualitarismo cristiano da cui generano l’invidia e l’odio.
« Dove realmente l’uguaglianza è penetrata ed è durevolmente fondata, nasce quell’inclinazione, considerata in complesso immorale, che nello stato di natura sarebbe difficilmente comprensibile: l’invidia. L’invidioso, quando avverte ogni innalzamento sociale di un altro al di sopra della misura comune, lo vuole riabbassare fino ad essa. Esso pretende che quell’uguaglianza che l’uomo riconosce, venga poi anche riconosciuta dalla natura e dal caso. E per ciò si adira che agli uguali le cose non vadano in modo uguale.
Con l’amicizia dionisiaca, caratterizzata dal sano naturale egoismo, non c’è più invidia, risentimento, incomprensione. Nessuno invidia e quindi teme l’altro. I falsi amici di Giulio Cesare prima lo ammirarono, poi l’invidiarono e alla fine odiarono e uccisero» (F. Nietzsche, Umano troppo umano).
Continua…..
Caterina Carloni