van Gogh, Sulla soglia dell’eternità
Nel secondo libro degli Yoga Sutra di Patanjali, il Sadhana Pada, I° sutra, è scritto: “Disciplina ascetica, studio individuale dei Testi sacri e abbandono a Dio (costituiscono) lo Yoga attivo (la forma pratica della filosofia Yoga)” (M. Ferrini, la scienza dello Yoga, CSB edizioni).
Le posizioni yoga, o asana, pur essendo di per sé eccellenti, non rappresentano la vera pratica dello yoga. Il termine yoga significa unione; la sua pratica consiste di metodi per conseguire l’unione con il Divino.
Tutti coloro che cercano l’unione con Dio, siano essi cattolici, protestanti, musulmani, indù ortodossi, buddisti o ottentotti, devono attraversare alcuni stadi nella loro ricerca, che va dall’adesione ad alcune semplici regole di vita fino ad arrivare alla massima elevazione della coscienza (samadhi).
Lo yoga è una disciplina seria. Trasforma ed eleva le aspirazioni e gli scopi di ogni essere umano.
Il dolore e la sofferenza fanno parte della vita di ognuno. Il fatto che essi siano stati sperimentati in modo del tutto normale anche dai santi e dai ricercatori spirituali in tutto il mondo apre a svariate riflessioni. Lo Yoga – potrebbero obiettare alcuni – dovrebbe evitarci la necessità di soffrire. Eppure la legge del karma, la legge indefettibile della remunerazione delle azioni, dice che se abbiamo infranto le norme del Dharma, il codice etico universale scritto dentro ognuno di noi, oppure se abbiamo fatto soffrire gli altri in una o più vite passate, nessuna pratica yoga, per quanto intensa e assidua, ci libererà dalla necessità di sperimentare simili sofferenze in questa vita o in quella futura.
Il dolore è un’esperienza universale per tutta l’umanità. Per alcuni, il dolore è intenso; per altri, è relativamente debole. Le sofferenze che patiamo bilanciano karmicamente quelle che abbiamo inflitto agli altri esseri viventi o al pianeta stesso.
Il dolore, tuttavia, non porta di per sé molta libertà spirituale: l’importante è accettarlo serenamente, con calma, perfino gioiosamente. Quando saremo in grado di accettare con equanimità qualunque sofferenza bussi alla nostra porta, usciremo completamente dalla sfera del dolore. E’ questo infatti il modo migliore per superarlo.
Un grande maestro ha detto: “Le circostanze sono sempre neutre. Che sembrino buone o cattive, felici o tristi, dipende esclusivamente da come noi reagiamo a esse”.
Lo yoga non libera dal karma: libera dalla suscettibilità a qualunque sofferenza il karma potrebbe altrimenti causarci. Il karma non ci costringe a soffrire: ci obbliga soltanto a sperimentare gli stessi alti e bassi che abbiamo fatto subire agli altri nel passato.
Poiché il karma è la legge di Dio, dobbiamo essere sempre aperti a essa, accettare di buon grado il suo gioco intricato e rimanere sempre equilibrati mentre lo viviamo.
Il dolore può rivelarsi anche una formidabile opportunità per riconnettersi alla propria matrice originale e divina. E’ scritto nella Bhagavad-gita:
catur-vidha bhajante mam
janah sukritino ’rjuna
arto jijnasur artharthi
jnani ca bharatarsabha
“O migliore dei Bharata, quattro categorie di uomini virtuosi si avvicinano a Me con devozione – gli infelici, coloro che desiderano la ricchezza, i curiosi e coloro che aspirano a conoscere l’Assoluto.” (Bhagavad-gita VII.16)
L’infelicità, se non ci lasciamo travolgere da essa e non le permettiamo di agitarci, può rappresentare una porta aperta verso la realizzazione del Sé, la sua chiave di accesso, la manifestazione della più alta funzione evolutiva tra le esperienze umane.
Caterina Carloni
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