• Gio. Nov 21st, 2024

VEDAM

A cura di Caterina Carloni, psicologa & psicoterapeuta

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COMUNICARE IN MUSICA

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foto Varese News

Gli errori più comuni che possono pregiudicare la funzionalità di una comunicazione efficace  sono stati individuati e studiati negli anni settanta da T. Gordon, un importante ricercatore della comunicazione e teorico dell’ascolto attivo. Ad esempio:

1) Ordinare, comandare, esigere;

2) Avvertire, minacciare;

3) Far la predica, rimproverare, dire cosa si deve o non si deve fare;

4) Consigliare, offrire soluzioni o suggerimenti;

5) Redarguire, ammonire, fare argomentazioni logiche;

6) Giudicare, criticare, disapprovare, biasimare;

7) Definire, stereotipare, ridicolizzare;

8) Interpretare, analizzare, diagnosticare;

9) Fare domande, indagare, mettere in dubbio, controinterrogare;

10) Eludere, distrarre, fare del sarcasmo, fare dello spirito, cambiare argomento.

Inoltre, Gordon fa osservare che queste barriere alla comunicazione contengono sempre il pronome “Tu” (Tu sei così …,Tu non l’hai fatto …,Tu dovresti comportarti diversamente …) con il risultato che l’altro si sente disconfermato. I messaggi-Tu esprimono un giudizio su chi ascolta. I messaggi-Io, invece (Io sento che… Io vorrei…), palesano il sentimento di chi parla e implicano un’ “assunzione di responsabilità” che predispone ad un confronto  orientato alla crescita del rapporto. 

Gordon consiglia anche di prestare attenzione alle nostre espressioni facciali perché queste possono sottolineare interesse o noia; di annuire di tanto in tanto col capo, dicendo “capisco”, “certo”, “comprendo” etc, perché questo fornisce all’interlocutore un chiaro segnale di ascolto; di riassumere con parole proprie, in alcuni momenti della conversazione, ciò che è stato detto, tipo “se comprendo bene stai dicendo che…”, “vuoi dire che…”; di fare domande aperte e non chiuse, domande cioè che lasciano spazio di espressione al nostro interlocutore.

Anche le pause e i silenzi sono importanti: se la persona è a suo agio nel silenzio, è importante rimanere uniti nel silenzio; se, invece, si percepisce imbarazzo o disagio, può essere opportuno fare una domanda o un commento su qualcosa di significativo detto appena prima.

Essere se stessi, non mascherarsi, non compiacere ad ogni costo ma lasciar fluire il nostro ascolto verso tutto ciò che c’è di profondamente umano nell’altro sembra essere il vero segreto per una comunicazione empatica.

Per imparare ad ascoltare noi stessi e le nostre emozioni, un suggerimento può essere quello di ascoltare spesso della buona musica, perché, come sosteneva il grande maestro Claudio Abbado:“E’ la musica che insegna ad ascoltare: se si ascolta, s’impara”.

A questo proposito, Daniel Levy, uno dei più valenti pianisti del nostro tempo e raffinato interprete di Liszt, Schumann e Chopin, ha recentemente pubblicato un libro dal titolo “Echi del Vento, storia di un viaggio al centro del suono (Academyofeuphony editore). L’autore utilizza la parola “eufonia” per indicare un suono bello e benefico, spiegando: “Nulla di più sbagliato pensare che ascoltare sia cosa inutile. E’ raro che la capacità d’ascoltare sia innata. Al contrario, l’ascolto s’impara e si perfeziona col tempo. Impariamo a leggere, a scrivere, a parlare, ma nessuna materia ci insegna ad ascoltare. Con l’udito abbiamo sempre avuto tutti l’impressione che non fosse necessario fare alcunché, che non fosse indispensabile svilupparlo, mentre è questo un senso fondamentale, non solo per i musicisti, che lo devono educare e sviluppare, ma per tutti gli esseri umani.

La musica aiuta prima di tutto ad avere un bagaglio diverso: estetico, culturale ed anche energetico, sia da un punto di vista mentale che emotivo. Una specie di forte energia che serve a vedere nitidamente, ascoltare più attentamente e a prendere delle decisioni con maggiore lucidità.  Ascoltare vuol dire, prima di tutto, mettersi nei panni degli altri. Capire le cose dal loro punto di vista. Ma si tratta anche di percepire ciò che forse un’altra persona non aveva intenzione di dirci, ma involontariamente trasmette con il suo stile, il suo comportamento, il suo modo di esprimersi, la postura fisica e anche con il tono di voce. Saper ben ascoltare può portare ad aprire la mente a nuove idee, a nuove soluzioni, ad arricchire la persona. È un’abilità che può essere molto utile anche per la crescita professionale e contribuisce notevolmente a essere dei bravi genitori, dei buoni figli, degli insostituibili compagni; è indispensabile ai medici, ai manager, a chi occupa posti di responsabilità”.

Quando diciamo “il tuo tono non mi piace”, oppure “il mio ritmo di lavoro non è quello giusto”, non ce ne rendiamo conto ma stiamo costantemente adoperando termini della teoria musicale che si intrecciano con la vita quotidiana. Ci sono tante altre di parole di uso comune che hanno un legame con la musica e l’ascolto: sintonia, dialogo, intendersi (tipico delle “corde”), assonanza, armonia e molte altre. L’ascolto è un processo attivo. Saper ascoltare è la chiave fondamentale e la risorsa umana centrale per avanzare: una necessità e una conquista. 

In una bella intervista rilasciata nel febbraio 2010, il prof. Marco Ferrini, presidente e fondatore del Centro Studi Bhaktivedanta, riferendosi all’influenza del suono sulla psiche, afferma:

“L’ascolto attiene a vari stati di coscienza. Esistono diversi modi di ascoltare. L’ascolto è una modalità dell’essere. Quando noi vogliamo che qualcosa entri profondamente dentro e ci pervada, ascoltiamo in un modo. Quando invece cerchiamo solo un’informazione banale, di limitata utilità, ascoltiamo superficialmente. Se vogliamo cogliere un insegnamento profondo, una verità sulla quale siamo pronti a strutturare la nostra vita, per dare un senso alla nostra esistenza, allora ascoltiamo con differente attitudine. L’ascolto dunque ha varie profondità che corrispondono all’interesse che ci anima. Quando l’interesse è alto, sicuramente l’ascolto è molto profondo.

C’è un ascolto di informazioni che vengono dall’esterno, che pur essendo preziose non sono quelle di massimo pregio, quanto invece quelle che provengono dalla nostra interiorità, ascoltando le quali capiamo che cosa veramente ci interessa, quali fra le tante nostre possibilità desideriamo far crescere e quali invece potare, sacrificare, affinché crescano i rami più importanti. Nelle scelte importanti c’è un ascolto profondo e quello della nostra voce interiore è sicuramente l’ascolto più significativo. Purtroppo vediamo che la gente ha perduto non solo l’arte dell’ascolto, ma anche l’opportunità di essere educata ad ascoltare. La preghiera è ascolto, la meditazione è ascolto, più meditiamo in profondità, più ascoltiamo i nostri bisogni veri che sono quelli spirituali, ontologici e un minuto o pochi minuti di questo ascolto possono trasformare la vita e donarci quell’orientamento illuminato che noi cerchiamo da sempre verso la felicità”.

Caterina Carloni

Di Cateca

Caterina Carloni, psicologa e psicoterapeuta

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