Quante volte, passeggiando per strada, ci capita di osservare il comportamento delle persone che ci circondano? La maggior parte dei passanti si muove tra la folla isolandosi mentalmente da tutto e tutti. L’unica cosa che desta la loro attenzione è lo squillo o la vibrazione del proprio amato telefono, che segnala l’arrivo dell’ennesimo messaggino a cui rispondere immediatamente. Un problema concreto, spesso sottovalutato, che colpisce in maniera diversa, e forse ancor più inquietante, gli utenti proprietari di un terminale iPhone.
Il fenomeno, ribattezzato dagli psicologi come “sindrome da iPhone”, presenta diverse similitudini con la sindrome di Stoccolma. In sintesi, i “sequestrati”, oltre a comportarsi come se fossero inebetiti, manifestano anche sentimenti positivi nei confronti del proprio “rapitore hi-tech”. Per la Strand Consult, che ha analizzato le frequenti quanto irragionevoli risposte dei fan del “melafonino”, i possessori di un iPhone sono quasi sempre ostaggi inconsapevoli del loro oggetto preferito. Si tratterebbe, insomma, di un vero e proprio “rapimento intellettuale di massa”. Niente sembra riuscire a tener lontano gli utenti dal loro oggetto dei desideri, neppure i possibili problemi tecnici. I possessori di questo dispositivo sono pronti infatti a difendere il proprio acquisto ricorrendo ad argomentazioni “fantasiose”. Tutto ciò che normalmente verrebbe visto come un “difetto” o un “limite”, viene considerato un pregio, una qualità che altri dispositivi non hanno e mai potranno avere: se sull’iPhone di Apple non è possibile installare un qualsiasi applicativo, gli utenti non si rattristano e non accusano la casa madre, in quanto tale limite è in realtà un vantaggio poiché i software disponibili sono di certo i migliori sul mercato; se la fotocamera integrata è di bassa qualità, il design viene prima di tutto, ecc. La “sindrome da iPhone”, e di questo gli psicologi sembrano esserne certi, è globale e colpisce allo stesso modo in tutte le parti del mondo. (Fonte: http://notizie.tiscali.it)
In realtà gli studi sugli effetti nocivi dell’alta tecnologia sulla psiche umana sono ormai numerosi e incontestabili.
Due anni fa un saggio di Nicholas Carr, consulente aziendale e direttore della “Harvard Business Review”, fu pubblicato dalla rivista «The Atlantic» col provocatorio titolo «Google ci sta rendendo stupidi?». “Le tecnologie digitali” – scriveva Carr – “offrono opportunità straordinarie di accesso a nuove informazioni, ma hanno un costo sociale e culturale troppo alto: insieme alla lettura, trasformano il nostro modo di analizzare le cose, i meccanismi dell’apprendimento. Passando dalla pagina di carta allo schermo perdiamo la capacità di concentrazione, sviluppiamo un modo di ragionare più superficiale, diventiamo dei “pancake people” – come dice il commediografo Richard Foreman: larghi e sottili come una frittella – perché, saltando continuamente da un pezzo d’informazione all’altra grazie ai link, arriviamo ovunque vogliamo, ma al tempo stesso perdiamo spessore perché non abbiamo più tempo per riflettere e contemplare. Soffermarsi a sviluppare un’analisi profonda sta diventando una cosa innaturale. Oltre ai vantaggi che sono sotto gli occhi di tutti, la Rete ci porta anche svantaggi assai meno evidenti e proprio per questo più pericolosi, anche perché gli effetti saranno profondi e permanenti; le nuove tecnologie influenzeranno la struttura del nostro cervello perfino a livello cellulare”. (Fonte: http://www.corriere.it/)
Scienziati britannici hanno recentemente riferito che le persone che passano molto tempo su Internet hanno maggiori possibilità di mostrare segni di depressione. Gli psicologi della Leeds University hanno riscontrato delle “impressionanti” evidenze empiriche che mostrano come alcuni habitué del Web sviluppino una tendenza compulsiva, soppiantando l’interazione sociale della vita reale con chat e siti di social network. “Questo studio supporta l’idea comune che un uso smodato della rete a sostituzione di una socialità nella norma possa essere legato a disordini psicologici come depressione e dipendenza” – scrive sulla rivista “Psychopathology” Catriona Morrison, principale autrice della ricerca – aggiungendo che “navigare in questo modo può avere un impatto serio sulla sanità mentale”. (Fonte: redazione www.opsonline.it )
L’utilizzo sempre più esteso del computer per lavoro, passatempi come i videogame e attività sui social network sono una delle cause principali dell’epidemia di obesità che sta flagellando i Paesi sviluppati. Ma non per l’inattività fisica – o almeno non solo – bensì per gli effetti del computer sul cervello. Lo sostiene la prestigiosa “Royal Institution of Great Britain”, la più antica accademia di ricerca scientifica pubblica del mondo. La baronessa Susan Greenfield, direttrice della Royal Institution, sostiene che l’utilizzo costante del computer ‘infantilizza’ il cervello rendendogli più difficile imparare a superare le difficoltà e gli errori: “Quando un bambino cade da un albero, impara subito a non ripetere l’errore, mentre invece se uno sbaglia durante un videogame, semplicemente continua a giocare. La parte del cervello coinvolta nell’attenzione, nell’empatia e nell’immaginazione – la corteccia pre-frontale – potrebbe non svilupparsi correttamente nei bambini troppo informatici” minaccia la Greenfield. “E poiché negli obesi questa zona cerebrale è spesso poco attiva, il legame tra uso eccessivo del computer e obesità potrebbe essere a livello cerebrale, producendo meno percezione del rischio, più abuso di junk-food e stili di vita poco salutari”. (Fonte: Macrae F. – Do you have Facebook flab? Computer use could make you eat too much, warns professor. Daily Mail 15/05/2009. http://it.health.yahoo.i )
Un nuovo studio pubblicato da un professore di psicologia statunitense pone l’accento su quello che ritiene essere un vero e proprio profilo clinico: quello del gamer patologico. La ricerca è stata effettuata presso il “National Institute on Media and the Family”, e ha decretato che almeno uno su dieci intervistati presenta veri e propri sintomi patologici che vanno ben oltre la semplice dipendenza, arrivando a modificare profondamente l’individuo sia a livello sociale che caratteriale. Lo studio, eseguito analizzando le risposte date da 1.178 giovani utenti di età compresa tra 8 e 18 anni, ha identificato una percentuale pari all’8,5 per cento degli intervistati come “gamer patologici”, cioè vittime di ben sei sintomi dichiarati patologici dal DSM II, ovvero: rilevanza (l’attività videoludica tende a dominare la vita dell’utente), euforia (sollievo nell’atto videoludico che permette di accantonare sensazioni spiacevoli), tolleranza (il prolungarsi anche in intensità dell’esperienza nel tempo), astinenza (l’individuo tende ad essere irrequieto o insoddisfatto se non può giocare), conflitto (l’attività tende ad essere in conflitto con le attività quotidiane, come studio, relazioni interpersonali) e, per finire, reticenza (il gamer patologico tende a continuare a giocare anche in presenza di espliciti divieti o di astinenza autoimposta). Douglas Gentile, docente di psicologia presso la Iowa State University e responsabile dello studio, commenta: ” La dipendenza dai videogiochi può costituire una vera e propria forma patologica che arreca danni alla funzionalità dell’individuo”. (Fonte: http://punto-informatico.it/ )
Quanto ai benefici, gli studi sull’High Tech sono ancora agli inizi e necessitano di ulteriori conferme.
Ad esempio, è stato da poco messo a punto un nuovo software riabilitativo per persone colpite da lesioni cerebrali chiamato COG.I.T.O., finanziato dalla Fondazione CRT, promosso dalla Fondazione ASPHI Onlus ed ideato da neuropsicologi e logopediste del Presidio Sanitario San Camillo di Torino. Il software, presentato per la prima volta in Italia il 15 ottobre 2009, in occasione di Beyond Paralympics, la settimana voluta da Fondazione CRT per parlare, confrontarsi, proporre iniziative a sostegno delle persone disabili, è a disposizione in forma gratuita open source e distribuito con licenza copyleft, scaricabile direttamente dal sito web http://cogito.integrazioni.it .
In un numero speciale della rivista “Cyberpsychology, Behavior and Social Networking”, sono stati pubblicati vari studi sull’uso della realta’ virtuale come terapia psicologica per rimuovere le cicatrici di un trauma – per esempio gli effetti traumatici di un terremoto. “La realta’ virtuale”, ha spiegato Brenda Wiederhold, direttore della rivista, “immerge il paziente che soffre di stress post-traumatico in un mondo fittizio dove la persona rivive in modo controllato il trauma. Gli stimoli virtuali riportano alla mente del paziente l’evento traumatico in cui e’ rimasto coinvolto, fino a che l’individuo, magari agendo attraverso il suo avatar, impara a non associare piu’ quegli stimoli a qualcosa di terrificante e ansiogeno, riuscendo a liberarsi dalla paura anche nel mondo reale”. (Fonte: http://unita.it )
“COSPATIAL”, un progetto europeo appena avviato, coordinato dalla Fondazione Bruno Kessler (FBK) di Trento, dedicato alla messa a punto di tecnologie collaborative per la promozione dell’apprendimento di competenze sociali da parte di bambini e ragazzi con sviluppo tipico o con autismo, sta tentando di creare strumenti tecnologici per favorire lo sviluppo di competenze comunicative nei bambini e contribuire allo sviluppo cognitivo e sociale in generale, venendo in particolare incontro alle grandi speranze dei genitori dei bambini autistici. In particolare, COSPATIAL si indirizza verso due tipi di tecnologie che in studi precedenti hanno mostrato buone potenzialità nel migliorare le abilità sociali: ambienti collaborativi virtuali e superfici attive condivise. (Fonte. www.lastampa.it )
L’ultima novità proviene dalle ricerche del colosso dei microprocessori Intel, il quale ha appena presentato un software in grado di indovinare con estrema accuratezza cosa una persona sta pensando tramite l’analisi della sua attività cerebrale. Il Il sistema è stato dimostrato per la prima volta al Tech Heaven di New York, ma la tecnica è ancora in una fase di sviluppo. Il programma messo a punto da Intel è collegato a un’apparecchiatura per la risonanza magnetica. A un soggetto viene chiesto di pensare una serie di nomi comuni suggeriti da un ricercatore. L’algoritmo associa a ogni parola le aree del cervello che si attivano quando esse vengono pensate. Successivamente, al soggetto viene chiesto di pensare a una delle parole precedentemente suggeritegli. Se la ricerca andrà avanti, in futuro sarà possibile comandare un computer senza usare tastiera, mouse o touch-screen. Ma la ricaduta più importante si avrebbe nell’assistenza alle persone affette da gravi invalidità o menomazioni fisiche, che potrebbero riacquistare una parziale autosufficienza manovrando col pensiero sedie a rotelle, sintetizzatori vocali e altri strumenti di assistenza fisica. (Fonte: http://www.repubblica.it )
L’evoluzione tecnologica è certamente un bene prezioso per tutti.
L’unico rischio è che, parafrasando la divertente commedia goldoniana, diventi uno strumento al servizio di due padroni poco avveduti: da un lato, il Piacere che ottunde, confonde le idee, stordisce, allenta la connessione con se stessi e, in definitiva, mina le nostre più autentiche risorse umane e spirituali; dall’altro il Progresso che separa l’uomo dal suo centro, la Medicina frammentaria e settoriale che identifica la vita nel segmento nascita-morte privandola della sua funzione evolutiva, il Benessere scorporato dalla sua dimensione metacorporea, ridotto ad “aggiustamenti” fisici e a manipolazioni virtuali, in cui la salute psicologica si riduce a un esercizio di normalizzazione sociale.
Ma la salute psicologica è plasticità, dinamismo, trascendenza dai confini angusti dell’io, è espansione di sé stessi, è esperienza di viaggio in territori magici e sconosciuti fino al ritorno alla propria Sorgente Suprema, è esplorazione della propria, unica e irripetibile essenza. E’ Amore al più alto livello, dato e ricevuto senza condizioni né condizionamenti.
“Ma con Amor l’inzegno no val gnente/Per causa de Cupido impertinente/No son più servitor de do Patroni/Ma sarò servitor de chi me sente”, conclude la maschera del grande commediografo veneziano. Perché le nostre attività apportino un reale beneficio a noi stessi e a chi ci circonda, qualunque sia il mezzo portentoso di cui disponiamo, è decisivo a quale padrone offriamo il nostro servizio e con quale sentimento.
Nessun avanzamento è possibile senza una coscienza illuminata da valori spirituali.
L’evoluzione tecnologica ha permesso di abbattere molte barriere e di spianare la strada della comunicazione globale, ma potrebbe elevare altri muri sottili e invisibili dentro la nostra anima. La via della Bhakti ci aiuta a rammentare che l’intero universo è permeato, generato e riassorbito da un’unica potente energia d’Amore da cui noi tutti proveniamo e verso cui noi tutti tendiamo. Onorare questa grande forza è il segreto per ottenere tutti i più autentici e durevoli benefici dell’esistenza.
Che ogni nostra attività, mondana, virtuale o spirituale, sia un’offerta a Colui che è la Fonte di ogni felicità.
Caterina Carloni