I sette vizi capitali, l’invidia, Hyeronymus Bosch, 1525
“Rukmini appariva incantevole come la potenza illusoria del Signore, che incanta anche le persone sobrie e gravi. In quel momento vide Krishna. Allora, sotto gli occhi dei suoi nemici, il Signore afferrò la principessa, che era ansiosa di salire sul Suo carro.
I re nemici del Signore, capeggiati da Jarasandha, non poterono tollerare l’umiliante sconfitta”.
(Srimad Bhagavatam canto X, capitolo 53, versi 51-57).
Così indossarono le armature e partirono all’attacco, ma vennero ben presto sconfitti dal Signore invincibile.
“Vedendo che il loro esercito era stato duramente colpito dai Vrsni assetati di vittoria, i re guidati da Jarasandha abbandonarono il campo di battaglia.
Sisupala era avvilito come un uomo che ha perso la moglie. Il suo aspetto era smunto, il suo entusiasmo se n’era andato e il suo volto si era inaridito.
Così Sisupala col suo seguito fece ritorno alla capitale”.
(Srimad Bhagavatam canto X, capitolo 54, versi 9-17)
In Psicologia delle masse e analisi dell’Io”(1930) Freud individua un’invidia originaria alla base della spinta dinamica che porta all’equità sociale. Dalla consapevolezza dei vissuti di invidia nasce, secondo l’autore, l’esigenza di norme che garantiscano la giustizia. L’energia sviluppata dall’invidia viene quindi trasformata in un sentimento sociale e canalizzata in attività che tendono a raggiungere o mantenere uno stato di uguaglianza tra i popoli.
Melania Klein (1969) parla ampiamente dell’invidia come “espressione sadico-orale e sadico-anale degli impulsi distruttivi” che agisce fin dalla nascita: “l’invidia è un sentimento di rabbia che nasce quando un’altra persona possiede qualcosa che desideriamo e ne gode. L’impulso invidioso mira a portarla via o a danneggiarla. Questa invidia primaria viene rivissuta in età adulta e sarà tanto più forte quanto meno è stata elaborata da bambini” (M. Klein, Invidia e gratitudine, 1969).
Scrive Marco Ferrini in “Psicologia dello Yoga”, edizioni CSB:
“Le vritti (onde psichiche che si susseguono nel campo mentale come vortici in un flusso continuo, come i singoli fotogrammi di un film) modificano lo schermo della mente, facendo sì che il soggetto identificato con esse soffra o gioisca a seconda delle raffigurazioni che decodifica. Questo è quanto accade sul palcoscenico della psiche. Lo spettatore, l’individuo, non è mai realmente in pericolo perché è ontologicamente immortale, colmo di consapevolezza e di beatitudine, solo che in quel momento non ne è cosciente perché, per effetto dell’ego condizionato (ahamkara), si è identificato con le proiezioni illusorie della propria mente, con le rappresentazioni del campo mentale.
Quando le vritti sono acquietate, lo yogi vede direttamente la realtà.
Nella Bhagavad-gita anche Krishna invita più volte il suo discepolo Arjuna a non dipendere dalla configurazioni instabili e fluttuanti del campo mentale ma a dominarle attraverso la pratica spirituale costante (abhyasa) e il distacco emotivo dal fenomenico (vairagya): “Certo è molto difficile dominare l’irrequietezza della mente, tuttavia, figlio di Kunti, è possibile con la pratica spirituale costante e con il distacco” (Bhagavad-gita VI.35)
“Tempo dopo, in occasione del sacrificio Rajasuya, il re Yudhisthira invitò grandi brahmana e saggi a prendervi parte, assegnando loro differenti responsabilità di officiante nell’arena del sacrificio.
Furono invitati Krishna-dvaipayana Vyasadeva, Bharadvaja, Sumantu, Gautama, Asita, Vasistha, Cyavana, Kanva, Maitreya, Kavasa, Trita, Parasurama, Sukracarya, Asuri, Vitihotra, Madhuccandha, Virasena e Akrtavrana. Inoltre invitò anziani rispettabili, come Dronacarya, Bhisma , l’antenato dei Kuru, Krpacarya, Dritarastra con tutti i suoi figli, tra cui Duryodhana, e l’illustre bhakta Vidura. Invitati ad assistere al grande sacrificio furono anche i sovrani di varie parti del mondo, insieme ai loro ministri e segretari.
Tutti i grandi deva, come Brahma, Siva e Indra – il re dei pianeti celesti -, scortati dai loro seguiti, e anche i deva maestri dei sistemi planetari superiori, come Gandharvaloka, Siddhaloka, Janaloka, Tapaloka, Nakaloka, Yaksaloka, Raksaloka, Paksiloka e Caranaloka, e gli illustri re e le loro regine, risposero all’invito di Yudhisthira a partecipare al grande sacrificio. Tutti i rispettabili saggi, i sovrani e i deva riuniti sul luogo del sacrificio riconobbero all’unanimità che il re Yudhisthira possedeva tutte le qualità necessarie al compimento del rajasuya-yajña.
Il sacrificio, sotto l’attenta cura dei brahmana eruditi e dei sacerdoti, doveva svolgersi esattamente come si era svolto nei tempi antichi quello di Varuna.
L’usanza vedica vuole che durante ogni sacrificio venga distribuito ai partecipanti il succo della pianta soma, che è una specie d’elisir di lunga vita. Il giorno in cui fu estratto il succo del soma, il re Yudhisthira ricevette con grande rispetto il sacerdote incaricato di scoprire eventuali errori nelle procedure del sacrificio. Infatti i mantra vedici devono essere pronunciati alla perfezione e cantati col giusto accento; se i sacerdoti impegnati in questo canto commettono qualche errore, “l’arbitro” rettifica subito la procedura in modo che i riti siano compiuti perfettamente. Infatti, in mancanza di tale perfezione un sacrificio non può portare i frutti desiderati. Nell’età di Kali non esistono brahmana così eruditi, perciò ogni sacrificio vedico è proibito. L’unico sacrificio permesso e raccomandato dagli sastra è il canto del mantra Hare Krishna.” (Sua Divina Grazia A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada, “Il libro di Krishna”, capitolo 73)
E’ affermato nella Caitanya-caritamrita:
hare nama harer nama
harer namaiva kevalam
kalau nasty eva nasty eva
nasty eva gatir anyatha
“Per il progresso spirituale in questa era di Kali non c’è alternativa, non c’è alternativa, non c’è alternativa al di fuori del santo nome, del santo nome, del santo nome del Signore” (Adi-lila, cap. 7, verso 76).
“I membri dell’assemblea valutarono chi tra loro doveva essere adorato per primo, ma poiché le persone qualificate per questo onore erano molte, non riuscivano a decidere. Infine Sahadeva parlò:
E’ certamente Acyuta, Dio, la Persona Suprema e capo degli Yadava, che merita la posizione più elevata. Egli include tutti i deva adorati nei sacrifici, e insieme i vari aspetti dell’adorazione, come il luogo sacro, il tempo e l’occorrente per il sacrificio.
Egli crea le molteplici attività di questo mondo, così, per Sua grazia, il mondo intero s’impegna negli ideali di religiosità, di sviluppo economico, di gratificazione dei sensi e di liberazione.
Chiunque desideri che l’onore offerto sia contraccambiato all’infinito dovrebbe onorare Krishna, l’Anima di tutti gli esseri, perfettamente serena e perfettamente completa, il Signore Supremo che non vede nulla separato da se stesso.
Dopo aver così parlato, Sahadeva, che aveva compreso i poteri si Krishna, tacque. Udite queste parole, tutte le persone sante presenti si congratularono con lui esclamando: “Ben fatto, ben detto!”
Il re Yudhisthira fu deliziato nell’ascoltare questa dichiarazione dei brahmana e, sopraffatto dall’amore, adorò Sri Krishna, il maestro dei sensi.
Quando videro che il Signore, Sri Krishna, veniva così onorato, quasi tutti i presenti giunsero le mani in segno di reverenza esclamando “Omaggi a Te! Vittoria a Te!”
Poi s’inchinarono di fronte a Lui, mentre una pioggia di fiori cadeva dall’alto.”
(Srimad Bhagavatam canto X, capitolo 74, versi 18-29).
La Bhagavad-gita afferma:“Tutti seguono la Mia via in un modo o nell’altro, o figlio di Pritha, e nella misura in cui si abbandonano a Me, Io li ricompenso” (Bhagavad-gita IV.11)
“L’intollerante figlio di Damaghosa (Sisupala) s’infuriò nell’ascoltare la glorificazione delle qualità trascendentali di krishna. Si alzò dal suo seggio e agitando con collera le mani pronunciò senza paura al cospetto dell’intera assemblea queste dure parole contro il Signore Supremo. Sisupala disse:
“L’affermazione dei Veda che il tempo è l’inevitabile controllore di tutti si è dimostrata vera: infatti l’intelligenza di anziani saggi è stata ora deviata dalle parole di un semplice ragazzo.
Come potete ignorare i membri più elevati di questa assemblea, i più grandi saggi dedicati alla Verità Assoluta, dotati del potere di austerità, di visione divina e di stretta aderenza ai voti, santificati dalla conoscenza e adorati perfino dagli amministratori dell’universo? Come può questo piccolo mandriano, la disgrazia della Sua famiglia, meritare la vostra adorazione, più di quanto un corvo non meriti di mangiare la sacra torta di riso purodasa?
Come può una persona che non segue principi degli ordini sociali e spirituali o l’etica familiare, che è stata esclusa da tutti i doveri religiosi, che si comporta in modo stravagante ed è priva di buone qualità, come può una tale persona meritare di essere adorata?
(Srimad Bhagavatam canto X, capitolo 74, versi 30-35)
In realtà – scrive Sua Divina Grazia A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada – Krishna non appartiene a nessun varna e non ha nessun dovere da compiere. I Veda spiegano che il Signore Supremo non deve sottostare ad alcun obbligo. Le Sue energie si occupano di tutto a nome Suo.
Sisupala elogiava indirettamente il Signore Supremo, affermando che Egli non è soggetto a nessuna legge vedica. Egli è Dio, la Persona Suprema. Dire che non possiede qualità significa che Egli non ha qualità materiali. Infine, essendo Dio, la Persona Suprema, Egli agisce in modo del tutto indipendente, senza preoccuparsi delle convenzioni o dei princìpi sociali o religiosi che siano (Il libro di Krishna, capitolo 73).
Caterina Carloni